Via Marcello Pucci 7, Milano 02. 3883 milano@cri.it

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InvitoA4mailLa Croce Rossa di Milano partecipa alla X edizione del Photofestival, manifestazione diffusa in modo capillare in tutta l’area metropolitana che coinvolge gallerie d’arte, spazi espositivi ed edifici storici, e che quest’anno, col sottotitolo “Dire, Fare, Mangiare”, si confronta con i contenuti dell’Esposizione Universale.

 

Attraverso gli scatti di Massimo Allegro si racconta il tema della fame, intesa come estrema necessità (di affetto, riconoscimento, sorrisi, libertà e infine di cibo), di cui Croce Rossa è quotidianamente testimone.

Il reportage dell’autore è la voce di un “mondo a parte”, poco visibile ma spesso vicinissimo. Un mondo denso di storie, di valori e di persone, che interseca ogni giorno la rete della solidarietà. Con sguardo sensibile e partecipe, Allegro ritrae i momenti in cui le strade dei volontari incrociano le emergenze sociali, sfiorano percorsi umani, individuali o collettivi, di sofferenza e di speranza. L’intento non è mostrarne il dramma, ma la ricchezza umana.

 

Attraverso il medium della Croce Rossa milanese, si entra in luoghi inconsueti, in territori idealmente lontani, dove è costante la presenza del volontariato e dove l’estremo disagio, la nuova povertà, i flussi migratori non sono “cronaca”, ma aiuto quotidiano. I migranti, che passano il mare per avere accoglienza; il bisogno di stabilità e relazioni dei senza dimora; le lunghe file di chi cerca pane, vestiti e generi di prima necessità; gli ospedali, dove è importante trovare un sorriso. Ma le immagini narrano anche altro: segreti, pensieri inconfessati, progetti futuri per uscire dal “mondo parallelo”. Accanto c’è la vita normale, che non può scorrere ignara.

 

Milano. Sguardi di solidarietà
di Massimo Allegro, a cura di Roberto Mutti
Inaugurazione 15 settembre 2015, h 19.00-22.00
Fino al 30 settembre | Mer-dom 11-13 e 14-19 | Ven 25 fino alle 22
Attenzione: ven 18, sab 19 (mattina) e sab 26 chiuso

c/o sede Cri di Via Marcello Pucci 7
tel. 02 3883 – 320 1807203
ufficiostampa@crimilano.it

 

Si ringraziano:
Comitato organizzativo del Photofestival
Pane Quotidiano (www.panequotidiano.eu)
Luigi Montuoro - Stampa Fine Art 

 

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IMG_5095Il 30 agosto è la "Giornata internazionale delle persone scomparse", in cui si richiama l'attenzione sulle vittime di sparizioni forzate e sulle loro famiglie, che sopportano anche per decenni l’incertezza e il buio sulla sorte dei propri cari.

In occasione di questa ricorrenza, la Croce Rossa, e in particolare il servizio **Restoring Family Links (RFL) dell'ufficio ricerche, RLF e protezione sociale, lancia una campagna internazionale di sensibilizzazione sul tema, che mira a diffondere la conoscenza del progetto “Trace the Face”.

 

Il nuovo progetto, elaborato in collaborazione con altre 22 Società nazionali Cri europee, permette a chi sta cercando un migrante scomparso o ha perso i contatti con un familiare di pubblicare la propria foto (senza indicazione di nome o recapito), sia online su www.tracetheface.org sia su manifesti visibili nei centri di accoglienza in tutta Europa.

In caso di match positivo (ovvero nel caso in cui venga riconosciuto il familiare), si attiveranno i contatti tra le Società nazionali Cri per le opportune verifiche e, come auspicabile, per il ristabilimento dei contatti.

 

DSC_3914 (2)Compito della Croce Rossa, attraverso la propria rete internazionale, è infatti quello di ricostituire i legami familiari, spezzati a causa di conflitti armati o calamità naturali, oppure, più semplicemente, di ristabilire i contatti e farsi tramite per condividere notizie con le persone care, là dove le reti di comunicazione sono interrotte. Fornisce inoltre supporto nell'espletazione delle pratiche di ricongiungimento e offre assistenza e servizi alla luce della legislazione vigente.

 

Il progetto pilota "Trace the Face" è già stato sperimentato in alcuni Paesi europei e ha dato ottimi risultati, tali da incoraggiarne appunto la diffusione in altre Società nazionali Cri. Oggi sul sito ci sono oltre 300 foto di persone che stanno cercando i propri cari. Maggiori informazioni su questo sistema di ricerca si trovano sul sito www.tracetheface.org e nel video www.youtube.com/tracetheface

 

 

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11390180_456127424552692_8845207470585749487_nCon l’aggravarsi della situazione presso la Stazione Centrale di Milano, dove centinaia di profughi soggiornano in attesa di muoversi verso i Paesi del Nord Europa o verso i centri di accoglienza, la Regione Lombardia, attraverso l’Asl locale, ha disposto la presenza di un presidio sanitario fisso. Scopo dell’operazione non è solo fronteggiare l’allarme dopo i casi di scabbia registrati, ma anche fornire assistenza adeguata agli immigrati presenti, in numero sempre crescente.

 

Da domani, 12 giugno, il Comitato Provinciale di Milano della Croce Rossa collabora all’attuazione del piano sanitario previsto mettendo a disposizione un ambulatorio mobile, dove opererà il personale Asl 1 di Milano. È evidente, infatti, la difficoltà di medici, infermieri e operatori a garantire le prime cure in ambiente non adatto e non igienico. Il Comitato Cri di Milano provvederà, inoltre, a fornire il servizio di un'ambulanza aggiuntiva, per il trasferimento dei pazienti dalla Centrale alle strutture ospedaliere in caso di necessità. Il presidio Cri sarà attivo tutti i giorni, dalle ore 8.00 alle 20.00.
Dalle 20 all’una, invece, sarà presente presso la Stazione un mezzo di Croce Rossa destinato a interventi assistenziali di carattere non specificatamente sanitario.

 

Il presidio, organizzato in data odierna, giunge in un momento particolarmente critico, in cui “bisogna evitare allarmismi, ma anche che la patologia (la scabbia, ndr) si diffonda ulteriormente”, afferma l’Assessore alla Salute della Lombardia, Mario Mantovani. Fondamentale quindi lo screening delle condizioni di salute dei profughi, con l’attivazione immediata degli interventi necessari e la gestione organizzata delle emergenze sanitarie.

 

 

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Sabato, 10 Gennaio 2015 13:08

PER NON DIMENTICARE...

È il 1° gennaio 2015... è la notte di Capodanno e sono le 4.00 del mattino. La temperatura è davvero rigida: ci sono –5 gradi e senti che il freddo, piano piano, penetra nelle ossa e con tanti piccoli aghi ti punge il viso.
Dopo un pomeriggio e una notte di “allerta”, l’emergenza è scattata: da Gallipoli stanno arrivando centinaia e centinaia di profughi, suddivisi in diversi pullman. La neve, che in questi ultimi giorni ha coperto il centro-sud nel nostro Paese, non agevola questo viaggio che si rivela, per loro, estenuante.
Nei giorni scorsi 800 migranti, per la maggior parte siriani e pakistani, si sono imbarcati sulla nave Blu Sky in Turchia, con meta il porto croato di Reijeka, ma sono stati poi lasciati andare dagli scafisti alla deriva nel canale di Otranto. Gli ultimi articoli di cronaca riportano l’annuncio della Guardia costiera: “Timone bloccato su rotta collisione con la costa, tragedia evitata”.
Rifletto con orgoglio sul tempismo, l’organizzazione e la “bravura” della nostra Marina Militare e della nostra Aeronautica che, in condizioni proibitive a causa delle pessime condizioni del tempo e del mare, hanno salvato la vita a numerosi migranti.
Prendo coscienza che al Centro Nazionale CRI di Bresso, dove ci stiamo dirigendo in risposta all’emergenza, non conoscerò solo dei migranti, ma dei veri “sopravvissuti”. Arriviamo al Centro e una lunga fila di volontari si dispone per l’accoglienza, tracciando una sorta di percorso che porta all’ingresso delle camerate. La mia postazione è vicina alle sale che accoglieranno i migranti e mi consentirà quindi di interagire più a lungo con loro, compatibilmente con la difficoltà della lingua.
La concitazione ci fa capire che i pullman sono arrivati e vediamo aprirsi davanti a noi la porta a vetri. Eccoli... ecco centinaia e centinaia di persone entrare nel corridoio e sfilare silenziose verso di noi con un accenno di sorriso, nonostante le vicissitudini.
Good morning... Welcome... Good morning... Good morning... Welcome...
Ci sono moltissimi giovani, tante famiglie con bambini piccoli e alcune donne in gravidanza, tutti visibilmente stanchi e preoccupati. Osservo il loro abbigliamento e il loro piccolo bagaglio; su alcuni un alone di salsedine è testimonianza dell'odissea vissuta.
Welcome... Ciao... Welcome... Good morning... Ciao...
In fila indiana, con molta dignità, tutti ricambiano il saluto e si accomodano sulle panche per la fase di registrazione in una delle due sale del Centro; di fronte a queste, dalla parte opposta del corridoio, li attendono altre due sale, ben riscaldate, con le brande. Continuano a sfilare e qualcuno mi augura “Happy New Year”: questo augurio mi tocca nel profondo; mi fa effetto sentirmi augurare "buon anno" da chi ha vissuto un’esperienza così devastante. Con gli occhi fissi nei suoi e una carezza sul braccio contraccambio l’augurio sottolineandolo con un sorriso. Compare poi una donna con un bimbo per mano e la sua vista trafigge il cuore di tutti i volontari. Ci scambiamo uno sguardo di intesa, quasi a voler condividere il nostro stato d'animo. Seguono altre mamme e altri bambini; la sofferenza dei bambini è la più difficile da sopportare. Arriva una donna incinta, giovanissima, che stringe la mano al marito, da una parte, e a suo figlio (piccolissimo) dall’altra. Con qualche difficoltà arriva anche un signore che cammina appoggiandosi faticosamente alle stampelle.
Qualcuno trema per il freddo, qualcuno è stravolto dalla stanchezza, altri hanno sete, alcuni fame... Tutti accennano a un sorriso, ringraziano... Ci solleva il fatto che nessuno pianga.
Circa una quarantina di migranti, soprattutto famiglie, si fermano presso il Centro di Accoglienza CRI di Bresso mentre gli altri alloggeranno presso altri centri della Lombardia: Monza, Cremona, Lecco, Sondrio... Per loro, seppure per poco, il viaggio non è ancora terminato.
Quando ormai tutti i profughi hanno preso posto sulle panche, in attesa del loro turno per la fase di registrazione, ci attiviamo con la distribuzione di latte caldo ai bambini e tè bollente agli adulti.
La distribuzione ci permette di scambiare qualche parola e di entrare in sintonia con loro. L’empatia è buona: nell’attesa alcuni mi mostrano sul cellulare le foto del viaggio in mare, della nave stipata di profughi, di 800 persone pressate l’una contro l’altra o distese nella stiva, una a fianco all’altra: "Per scaldarci", mi dicono.
Mi chiedono di fare una foto con loro, per ricordare questo momento, e mi ringraziano.
Io non oso fotografare nessuno: non serve, i loro visi sono scolpiti in maniera indelebile nella mia mente insieme al ricordo di questo Capodanno.
Mentre Karim, il mediatore interculturale, parla ininterrottamente in arabo per registrare i presenti e mantenere unite le famiglie e gli amici, chi mi ha chiesto una foto si avvicina timidamente per salutarmi: è stato destinato a Monza. “I’m going away. Thanks for your kindness!”... E con un bel sorriso mi porge la mano in segno di riconoscenza. Gliela stringo forte: “Good luck!”. E in Italiano aggiungo: “Ti auguro di ritrovare tutto quello che ti hanno portato via”. La stretta di mano e lo sguardo fanno fatica a sciogliersi e mi rendo conto che la solidarietà non ha barriere né di razza né di lingua, né di religione.                             Sorella Donatella Brugora

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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È il primo appuntamento internazionale dedicato a un tema di scottante attualità: l’identificazione dei deceduti e, in particolare, dei migranti, con un preciso riferimento all’esperienza dei Paesi mediterranei.

"First Conference on the management and identification of unidentified decedents, with an emphasis on dead migrants: the experience of European Mediterranean countries" è il titolo del congresso, che si terrà il 22 e 23 novembre presso l’Università degli Studi di Milano in via Mangiagalli 37.

Tra gli organizzatori figura il Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense) della Sezione di Medicina legale del dipartimento di Scienze biomediche per la salute, insieme ad altri due partner che hanno autorevole voce in capitolo: il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) e la Croce Rossa Italiana, con l’Ufficio Tracing, Restoring Family Links e Protezione Umanitaria del Comitato Regionale lombardo. Il suo compito è ristabilire i contatti tra le famiglie e le vittime, dando un valido contributo all’attività di identificazione. Si tratta di un compito strettamente correlato a quello delle autorità competenti in materia di indagini scientifiche e medicina legale, come le forze di polizia o i laboratori universitari.

Uno degli obiettivi dell’evento è proprio quello di incoraggiare la comunicazione e la cooperazione tra le forze in campo, per fronteggiare sempre più adeguatamente la tragedia dei vivi o deceduti non identificati. La ricerca di standard comuni di lavoro, l’individuazione delle pratiche migliori nella gestione e identificazione dei corpi e la condivisione di informazioni ed esperienze sono tra i risultati attesi dal congresso.

Per questo, verrà presa in esame la situazione dei Paesi più coinvolti (Spagna, Portogallo, Francia, Grecia, Malta e Italia) e interverranno organizzazioni internazionali come L’Interpol, il Consiglio d’Europa e Frontex.

22-23 novembre, Aula Magna della Sezione di Medicina legale, via Mangiagalli 37

La conferenza è in lingua inglese

Program

Locandina

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“Siamo fuggiti quando tutti i nostri parenti hanno iniziato a morire, uno dopo l’altro”. Comincia così il racconto di Ahmad ed Ellen, fuggiti dalla Sierra Leone insieme alle due figlie di cinque e otto anni. Per il loro Paese e per quelli limitrofi il 2014 è stato un anno tragico, colpiti da un’epidemia di ebola tra le più gravi dell’ultimo secolo che ha causato migliaia di vittime.

Ad appena ventotto anni decidono quindi di andarsene e affidarsi all’incertezza del futuro, in direzione Libia. Tra loro e Tripoli ci sono vari mesi di viaggio e quattromila chilometri da fare a piedi o con mezzi di fortuna. La scelta della destinazione non è casuale: la Libia, tuttora, rappresenta nell’immaginario di molti africani un luogo dove poter lavorare e costruirsi una vita migliore. Ma questa non è la Libia attuale. Dopo la guerra civile del 2011 la situazione è peggiorata ed è caratterizzata da instabilità politica e dall’emersione di fondamentalismi e tribalismi. Nonostante ciò, negli Stati interni dell’Africa, dove le notizie non arrivano, permane l’idea di una Libia fiorente e piena di opportunità. 

Dopo aver attraversato vari Stati arriva il tratto peggiore del viaggio: il deserto. I racconti dei sopravvissuti alla traversata descrivono un quadro drammatico e raccapricciante, fatto di dune costellate di migliaia di cadaveri di chi non ce l’ha fatta. Il Sahara da cartolina non è tale per chi è costretto ad attraversarlo a piedi e senza risorse. Ahmad, Ellen e le figlie riescono a trovare un passaggio nel cassone di un pick-up, ma ciò non rende il viaggio meno estenuante. Dopo quattro giorni a più di quaranta gradi sotto il sole cocente, senza mangiare né bere, arrivano stremati a destinazione. “Quando affronti il deserto non puoi far altro che pensare alla morte”, dice Ahmad, con la voce che si fa man mano più cupa tornando con la mente a quei momenti.

Arrivati a Tripoli la famiglia trova una sistemazione e un piccolo lavoretto per il padre, cosa niente affatto scontata. Passano due anni e la situazione nel Paese è ancora incerta e pericolosa. Ai disordini e al caos si aggiungono criminalità, trafficanti di essere umani e continui rapimenti. La consapevolezza di doversi mettere in viaggio di nuovo nasce dalla certezza di non poter garantire un futuro alle due figlie e alla terza, in arrivo. Il Mediterraneo fa paura, ma la prospettiva di restare in Libia ancora di più. Decidono allora di prendere la via del mare in direzione Lampedusa, dove giungono in primavera nella primavera del 2016.

La voce e l’espressione si fanno più distese man mano che Ahmad ed Ellen raccontano dell’arrivo in Italia e dell’accoglienza a Milano, dove vivono in uno dei centri gestiti dalla Croce Rossa, la loro nuova casa. Qui hanno avuto la possibilità di mandare a scuola le figlie, che ogni giorno rientrano contente di aver imparato una parola in più di italiano. I genitori invece frequentano la scuola di lingua presente all’interno del centro. “Siamo felici di essere qui, ora sappiamo che il peggio è passato”.

A settembre è nata la loro terza figlia, “il nostro nuovo inizio”, Maria Chiara. A chi ne chiede l’origine, la mamma risponde che è l’unione dei nomi delle due operatrici di Croce Rossa che l’hanno aiutata durante la gravidanza, seguendola anche nel percorso per imparare l’italiano. Maria Chiara, questo nome tutto italiano, è in loro onore, un segno di riconoscenza per quanto fatto per la sua famiglia.

Le parole di Ahmad ed Ellen raccontano di situazioni drammatiche e tragiche, la sofferenza per aver visto familiari e amici morire di ebola, la difficoltà e gli stenti del viaggio, i morti sulla tratta, le violenze in Libia e la traversata in mare a bordo di un barcone sovraffollato e pericoloso. Cose a cui hanno assistito anche le loro due bambine, che si portano dietro un bagaglio di esperienze che difficilmente i loro compagni di scuola italiani potranno mai comprendere.

Nonostante tutto, il sorriso non manca mai sui loro volti, e ogni giorno portano l’allegria nel centro di accoglienza, di cui ormai sono diventate le mascotte. A Milano Ahmad ed Ellen hanno finalmente ritrovato la serenità, e ora riescono a vedere quel futuro per le loro figlie che tanto a lungo hanno cercato.

Daniele Aloisi

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