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Sabato, 17 Dicembre 2016 13:02

Una nuova vita, in fuga dall'Ebola e dagli orrori della Libia

Una nuova vita, in fuga dall'Ebola e dagli orrori della Libia Daniele Aloisi / CRI Milano

“Siamo fuggiti quando tutti i nostri parenti hanno iniziato a morire, uno dopo l’altro”. Comincia così il racconto di Ahmad ed Ellen, fuggiti dalla Sierra Leone insieme alle due figlie di cinque e otto anni. Per il loro Paese e per quelli limitrofi il 2014 è stato un anno tragico, colpiti da un’epidemia di ebola tra le più gravi dell’ultimo secolo che ha causato migliaia di vittime.

Ad appena ventotto anni decidono quindi di andarsene e affidarsi all’incertezza del futuro, in direzione Libia. Tra loro e Tripoli ci sono vari mesi di viaggio e quattromila chilometri da fare a piedi o con mezzi di fortuna. La scelta della destinazione non è casuale: la Libia, tuttora, rappresenta nell’immaginario di molti africani un luogo dove poter lavorare e costruirsi una vita migliore. Ma questa non è la Libia attuale. Dopo la guerra civile del 2011 la situazione è peggiorata ed è caratterizzata da instabilità politica e dall’emersione di fondamentalismi e tribalismi. Nonostante ciò, negli Stati interni dell’Africa, dove le notizie non arrivano, permane l’idea di una Libia fiorente e piena di opportunità. 

Dopo aver attraversato vari Stati arriva il tratto peggiore del viaggio: il deserto. I racconti dei sopravvissuti alla traversata descrivono un quadro drammatico e raccapricciante, fatto di dune costellate di migliaia di cadaveri di chi non ce l’ha fatta. Il Sahara da cartolina non è tale per chi è costretto ad attraversarlo a piedi e senza risorse. Ahmad, Ellen e le figlie riescono a trovare un passaggio nel cassone di un pick-up, ma ciò non rende il viaggio meno estenuante. Dopo quattro giorni a più di quaranta gradi sotto il sole cocente, senza mangiare né bere, arrivano stremati a destinazione. “Quando affronti il deserto non puoi far altro che pensare alla morte”, dice Ahmad, con la voce che si fa man mano più cupa tornando con la mente a quei momenti.

Arrivati a Tripoli la famiglia trova una sistemazione e un piccolo lavoretto per il padre, cosa niente affatto scontata. Passano due anni e la situazione nel Paese è ancora incerta e pericolosa. Ai disordini e al caos si aggiungono criminalità, trafficanti di essere umani e continui rapimenti. La consapevolezza di doversi mettere in viaggio di nuovo nasce dalla certezza di non poter garantire un futuro alle due figlie e alla terza, in arrivo. Il Mediterraneo fa paura, ma la prospettiva di restare in Libia ancora di più. Decidono allora di prendere la via del mare in direzione Lampedusa, dove giungono in primavera nella primavera del 2016.

La voce e l’espressione si fanno più distese man mano che Ahmad ed Ellen raccontano dell’arrivo in Italia e dell’accoglienza a Milano, dove vivono in uno dei centri gestiti dalla Croce Rossa, la loro nuova casa. Qui hanno avuto la possibilità di mandare a scuola le figlie, che ogni giorno rientrano contente di aver imparato una parola in più di italiano. I genitori invece frequentano la scuola di lingua presente all’interno del centro. “Siamo felici di essere qui, ora sappiamo che il peggio è passato”.

A settembre è nata la loro terza figlia, “il nostro nuovo inizio”, Maria Chiara. A chi ne chiede l’origine, la mamma risponde che è l’unione dei nomi delle due operatrici di Croce Rossa che l’hanno aiutata durante la gravidanza, seguendola anche nel percorso per imparare l’italiano. Maria Chiara, questo nome tutto italiano, è in loro onore, un segno di riconoscenza per quanto fatto per la sua famiglia.

Le parole di Ahmad ed Ellen raccontano di situazioni drammatiche e tragiche, la sofferenza per aver visto familiari e amici morire di ebola, la difficoltà e gli stenti del viaggio, i morti sulla tratta, le violenze in Libia e la traversata in mare a bordo di un barcone sovraffollato e pericoloso. Cose a cui hanno assistito anche le loro due bambine, che si portano dietro un bagaglio di esperienze che difficilmente i loro compagni di scuola italiani potranno mai comprendere.

Nonostante tutto, il sorriso non manca mai sui loro volti, e ogni giorno portano l’allegria nel centro di accoglienza, di cui ormai sono diventate le mascotte. A Milano Ahmad ed Ellen hanno finalmente ritrovato la serenità, e ora riescono a vedere quel futuro per le loro figlie che tanto a lungo hanno cercato.

Daniele Aloisi

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