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Curiosità, informazioni e approfondimenti sul Diritto Internazionale Umanitario

Tra i compiti istituzionali della Croce Rossa, diffondere la conoscenza del Diritto Internazionale Umanitario da sempre riveste un'importanza fondamentale, e per questo tale attività viene portata avanti a ogni livello, spiegando sia ai cittadini che agli appartenenti alle Forze Armate quali sono le regole che, in un conflitto, tutelano le persone civili e limitano le sofferenze.

CRI Milano per il 2022 ha scelto di diffondere il Diritto Umanitario...in pillole! Una volta al mese verranno pubblicate una serie di grafiche su temi inerenti i conflitti armati e la protezione dei civili, con informazioni generali, spunti e focus specifici.

1 - Le regole nei conflitti armati

Chiunque prenda parte a un conflitto armato è tenuto a rispettare da sempre delle regole per salvaguardare i civili, nonché i mezzi e le strutture non utilizzate a scopi militari. L'insieme di regole che normano tali situazioni prende il nome di Diritto Internazionale Umanitario. 

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Il Diritto Internazionale Umanitario (DIU) è una parte del diritto internazionale pubblico e include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone che non prendono (o non prendono più) parte alle ostilità. Allo stesso tempo pongono limiti ai mezzi e ai metodi di guerra utilizzabili. Lo scopo del DIU è quindi quello di limitare le sofferenze e le perdite inutili, nonché proteggere e assistere le vittime. Il Diritto Internazionale Umanitario non considera le ragioni o la legittimità del ricorso alla forza (ius ad bellum) ma si concentra sul diritto in guerra (ius in bello).

Storicamente il DIU è composto da regole che si focalizzano maggiormente sulla tutela delle persone (diritto di Ginevra), e da altre che normano invece la condotta delle operazioni e limitano i mezzi per nuocere al nemico (diritto dell'Aia). Tra gli strumenti principali del DIU ci sono le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i loro Protocolli Aggiuntivi del 1977, che insieme contengono più di 600 articoli.

Una delle regole più importanti del Diritto Internazionale Umanitario stabilisce che coloro non sono coinvolti nei combattimenti devono essere protetti e trattati con umanità, senza alcuna distinzione. Il DIU tutela le vittime sia dei conflitti armati internazionali che dei conflitti interni, ovvero quando un combattimento avviene sul territorio di uno Stato tra le forze armate regolari e altri gruppi armati.

2 - I prigionieri di guerra

Cosa succede a coloro che in battaglia vengono catturati dal nemico? Quali sono i loro diritti e i loro doveri nei confronti della Potenza detentrice? Il Diritto Internazionale Umanitario presenta numerose norme che tutte le parti devono rispettare per garantire il giusto trattamento dei prigionieri e tutelare al contempo la loro salute.

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La III Convenzione di Ginevra è un insieme di regole relative al trattamento dei prigionieri di guerra, ovvero i combattenti che nel corso di un conflitto armato internazionale cadono nelle mani della potenza nemica.

I prigionieri devono essere trattati con umanità e hanno diritto a cure mediche, vitto e alloggio adeguati, libertà di culto, protezione da violenze e torture, e a una detenzione in un luogo sicuro lontano dalle zone di conflitto. Sono vietati gli oltraggi alla dignità personale, in particolar modo i trattamenti umilianti e degradanti.

Convenzionalmente è considerato combattente chi è sottoposto ad un commando responsabile, porta un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza, porta apertamente le armi, si uniforma alle leggi e agli usi di guerra. Le spie e i mercenari non hanno diritto allo status di prigionieri di guerra.

Appena catturato, al prigioniero sarà richiesto di dichiarare il proprio nome, cognome, data di nascita, matricola e grado, ma non sarà tenuto a dare altre informazioni utili alle forze nemiche.

Ad eccezione degli ufficiali, ai prigionieri possono essere assegnati dei lavori da svolgere, purché non di carattere militare. Deve essere garantita un’indennità nonché l’applicazione delle leggi nazionali in materia di sicurezza sul lavoro.

Gli effetti personali restano in possesso dei prigionieri e ciò che viene confiscato deve essere restituito al termine della detenzione. Il prigioniero può conservare denaro entro un certo limite e ha diritto a un conto personale aperto dalla potenza detentrice.

In tutti i campi di detenzione devono essere aperti spacci presso i quali i prigionieri possono acquistare cibo, sapone, oggetti d’uso quotidiano e tabacco, a prezzi non superiori a quelli del commercio locale. I guadagni degli spacci devono essere utilizzati a favore dei prigionieri.

I prigionieri di guerra hanno diritto a ricevere le visite di un Delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) che ha il compito di accettare la salute, le condizioni generali e il trattamento a lui riservato, nel corso di colloqui confidenziali senza testimoni.

Il Delegato CICR organizza inoltre trasferimenti e rimpatri, e favorisce i ricongiungimenti familiari.

Attraverso l’Agenzia Centrale delle Ricerche, il CICR aiuta le famiglie dei prigionieri a rintracciarli, ad avere notizie e a scambiare messaggi con loro.

Subito dopo la cattura, il prigioniero deve poter inviare alla famiglia e all’Agenzia una cartolina che le
informi della sua cattività, del suo indirizzo e dello stato di salute.

 

3 - La protezione dei civili nei conflitti

Nei conflitti armati, i civili pagano spesso un prezzo altissimo e sono vittime di violenze, attacchi brutali e indiscriminati. Le regole del Diritto Internazionale Umanitario prevedono esplicitamente la protezione totale della popolozione civile, che in nessun caso può essere attaccata.

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Nei conflitti armati sono vietati gli attacchi contro la popolazione civile e i beni civili. Ogni attacco deliberato e intenzionale contro la popolazione civile costituisce un crimine di guerra.

Il nemico deve trattare la popolazione civile con umanità, senza discriminazioni basate su razza, colore, credo religioso, sesso, nascita, estrazione sociale o criteri analoghi. Restano vietate le violenze contro la vita e l'integrità corporale, specialmente l'assassinio in tutte le sue forme, la cattura di ostaggi e gli oltraggi alla dignità personale.

Durante le ostilità, non si possono attaccare, distruggere e mettere fuori uso i beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione, che deve essere protetta anche da atti e minacce di violenza volte a diffondere terrore.

Gli ospedali civili in nessun caso possono essere attaccati. Le Parti in conflitto devono inoltre accordare il libero passaggio di personale e materiale sanitario per la cura e l’assistenza della popolazione, e accaccordi per l’evacuazione di feriti, malati, anziani, donne e bambini dalle zone assediate.

Nei territori occupati militarmente, occorre sempre assicurare la fornitura di viveri e medicinali, tenendo ben a mente che è vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame ai civili.

Deportazioni e trasferimenti forzati fuori del territorio occupato sono vietati, salvo che per questioni di sicurezza della popolazione o impel­lenti ragioni militari.

Le Parti in conflitto devono sempre fare distinzione tra civili e combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari, dirigendo le operazioni soltanto contro gli obiettivi militari (principio di distinzione).

Ogni comandante militare, prima di lanciare un attacco, deve valutare che ci sia un vantaggio militare concreto e diretto nell'azione militare, in relazione alle perdite umane e ai danni alla popolazione e ai beni civili, causati incidentalmente (principio di proporzionalità).

Sono pertanto vietati gli attacchi indiscriminati, ovvero non diretti contro un obiettivo militare specifico, o che impiegano metodi e mezzi di combattimento i cui effetti non pos­sono essere limitati all’obiettivo militare che si intende colpire.

Nel caso di attacchi che possano colpire la popolazione civile, dovrà essere dato un avvertimento in tempo utile per permettere l’evacuazoine, salvo che le circostanze lo impediscano.

Se non per assoluta necessità militare, l a Potenza occupante non può distruggere i beni mobili o immobili appartenenti a persone e organizzazioni private, allo Stato o a enti pubblici.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dei civili e delle norme stabilite dalla IV Convenzione di Ginevra e daI I Protocollo Aggiuntivo in merito alla protezione dei civili che non prendono parte alle ostilità.

Il CICR dialoga in maniera diretta e riservata con le autorità competenti per prevenire o porre fine alle violazioni del Diritto Internazionale Umanitario, e opera sul campo per fornire assistenza alla popolazione, distribuire aiuti, curare ed evacuare i feriti e ristabilire i legami familiari.

4 - La tutela dei beni culturali nei conflitti

Il patrimonio culturale costituisce l'essenza, la storia e l'identità di un popolo. Per questo motivo i beni culturali vengono spesso attaccati e presi di mira nei conflitti, in modo da colpire non i singoli combattenti ma l'intera comunità. Sono attacchi ad alto potenziale simbolico, che provocano effetti psicologici profondi e lasciano le persone disconnesse e senza legami con la propria identità e la propria storia.

Il Diritto Internazionale Umanitario tutela i beni culturali e identifica i meccanismi di protezione affinché anche nei conflitti armati venga salvaguardato il patrimonio culturale dell'umanità.  

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Il Diritto Internazionale Umanitario tutela il patrimonio culturale dei popoli, prevedendo specifiche norme per la salvaguardia dei beni culturali e meccanismi di protezione da attuare in caso di conflitto armato.

Secondo la Convenzione dell’Aja sono considerati beni culturali i monumenti architettonici, i siti archeologici, le opere d'arte, i manoscritti, libri e qualunque altro oggetto di interesse artistico, storico, o archeologico. La tutela è allargata anche agli edifici che conservano i beni mobili, come musei, biblioteche, archivi, rifugi e centri monumentali.

Le Parti in conflitto devono tutelare l’integrità dei beni culturali indipendentemente dal territorio di appartenenza, impegnandosi a non utilizzarli per scopi che potrebbero danneggiarli o distruggerli, nonché a evitare ogni ostilità e rappresaglia nei loro confronti.

Per tutelare maggiormente alcuni beni di particolare importanza, sono previste due specifiche forme di protezione: speciale e rafforzata. Le Parti in conflitto devono garantire l’immunità di questi beni protetti e ogni attacco deliberato e non giustificato contro essi è da intendersi come un crimine di guerra.

Per accordare a un bene culturale la protezione rafforzata, occorre che sia considerato della massima importanza per l'umanità, che sia protetto da leggi nazionali che ne riconoscano il valore culturale e storico eccezionale, e che non sia usato per scopi militari o come scudo a postazioni militari.

In caso di occupazione militare, la Potenza occupante è tenuta a supportare le autorità nazionali del territorio per assicurare la salvaguardia dei propri beni culturali, nonché a garantire i provvedimenti conservativi necessari. Gli occupanti non possono esportare, rimuovere, trasferire o distruggere beni culturali, storici o di valore scientifico, nonché effettuare scavi archeologici.

In tempo di pace, gli eserciti devono dotarsi di regolamenti per assicurare la protezione dei beni culturali, impegnandosi a trasmettere alle truppe uno spirito di rispetto verso la cultura e il patrimonio culturale dei popoli.

Per facilitare l’identificazione del patrimonio culturale in caso di conflitto, è possibile apporre sui beni un segno distintivo riconosciuto a livello internazionale: lo scudo blu. Per i beni culturali immobili sotto protezione speciale, nonché in caso di trasporto degli stessi, il contrassegno è ripetuto tre volte.

Tutti gli Stati devono predisporre meccanismi di tutela e istruzioni per la protezione dei beni culturali situati sul loro proprio territorio contro gli effetti prevedibili di un conflitto armato, preparando inventari, predisponendo le misure d'emergenza in caso di incendi o cedimenti strutturali, e pianificando l’eventuale spostamento dei beni culturali mobili.

Le parti in conflitto devono inoltre rimuovere i beni culturali mobili dalla vicinanze di obiettivi militari o fornirgli adeguata protezione, evitando inoltre di posizionare obiettivi e postazioni militari nei pressi di beni culturali.

 

5 - L'emblema della Croce Rossa

La croce rossa è uno dei simboli più conosciuti al mondo. Da poco meno di 160 anni, in tutto il mondo, garantisce protezione alle comunità colpite da disastri o da situazioni di violenza. Il suo "potere" deriva direttamente dalle Convenzioni di Ginevra, che ne regolano l'uso e le caratteristiche, prevendendo specifiche meccanismi di tutela in modo da prevenire eventuali abusi nel suo utilizzo.

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Il simbolo della croce rossa su fondo bianco rappresenta un segno universale di speranza per le vittime di conflitti, crisi umanitarie o calamità naturali.

Nato dall’inversione dei colori della bandiera svizzera, la croce rossa è un emblema protettivo destinato a coloro che in un conflitto armato portano soccorso e assistenza. Oltre la croce rossa, le Convenzioni di Ginevra e dai Protocolli Aggiuntivi identificano e disciplinano anche altri due emblemi: la mezzaluna rossa e il cristallo rosso.

Due sono gli usi dell’emblema: protettivo e indicativo.

In tempo di guerra, la croce rossa posta su fondo bianco, di grandi dimensioni, ha funzione protettiva. Ciò implica che il personale, i mezzi, le strutture, le attrezzature e i beni posti sotto l’emblema non possono essere attaccati (uso protettivo).

Possono impiegare l’emblema a uso protettivo i servizi sanitari delle forze armate e il personale della Croce Rossa, nonché ospedali e unità sanitarie civili e , se autorizzate, altre società di soccorso volontarie.

L’emblema di piccole dimensioni e con il nome della Società Nazionale, posto su uniformi, attrezzature e mezzi, segnala l’appartenenza alla Società Nazionale di Croce Rossa (uso indicativo, o distintivo).

L’emblema a uso indicativo è riservato solo alla Società Nazionale e non accorda nessuna protezione in caso di conflitto.

L’emblema della croce rossa è spesso usato impropriamente, in modo fraudolento o per scopi diversi da quanto previsto dal Diritto Internazionale Umanitario (DIU). In questo caso si parla di abuso dell’emblema.

L’abuso dell’emblema a uso protettivo può avere conseguenze gravissime, in primo luogo per le vittime dei conflitti e per coloro che non prendono parte alle ostilità. Il mancato rispetto delle norme del DIU a protezione dell’emblema compromette i soccorsi e le operazioni, mettendo a rischio la vita del personale sanitario e delle persone soccorse.

Ogni Stato ha l'obbligo di prevenire gli abusi dell’emblema sia in tempo di guerra che di pace, emanando leggi volte a favorirne la protezione.

La prima tipologia di abuso è detta imitazione, o contraffazione, ovvero l’utilizzo di simboli i cui colori, forme e dimensioni sono facilmente confondibili con l’emblema.

L’uso dell’emblema da parte di persone o altri attori non autorizzati, costituisce invece uso improprio, detto anche usurpazione.

Particolarmente grave ai sensi del Diritto Internazionale Umanitario è infine l’ultima tipologia di abuso, la perfidia, ovvero l’utilizzo degli emblemi per scopi militari o a protezione di combattenti armati, mezzi o equipaggiamento bellico. La perfidia costituisce un crimine di guerra.

6 - Diritti Umani e Diritto Internazionale Umanitario

C'è spesso confusione riguardo la differenza tra Diritti Umani e Diritto Internazionale Umanitario. Queste due branche del diritto internazionale tra loro complementari: hanno entrambe l'obiettivo di proteggere le persone ma lo fanno in modalità e circostanze diverse.

Un esempio di complementarietà riguarda la tortura. Il DIU infatti la proibisce categoricamente, ma non ne fornisce una definizione univoca, che possiamo però trovare nel primo articolo della Convenzione contro la Tortura del 1984, uno degli strumenti giuridici dei Diritti Umani. 

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Il Diritto Internazionale Umanitario (DIU) e il Diritto Internazionale dei Diritti Umani (per brevità Diritti Umani) si occupano di proteggere la persona e la dignità umana, seppur in circostanze e modalità diverse. Queste due branche del diritto internazionale sono complementari.

Mentre il DIU si applica negli scenari di conflitto armato, i Diritti Umani proteggono l’uomo sia in tempo di guerra che di pace, toccando molteplici aspetti della vita degli individui.

Il DIU protegge le vittime dei conflitti armati, ossia chi non prende parte alle ostilità, e chi non può più prenderne parte, limitandone la sofferenza. Si occupa inoltre del trattamento delle persone cadute in mano della potenza nemica, oltre che di regolare la condotta delle ostilità.

I Diritti Umani proteggono invece tutti gli individui e ne favoriscono lo sviluppo, limitando il potere di uno Stato dove necessario.

Gli strumenti giuridici dei Diritti Umani sono: la Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo (1948), la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (1950), la Convenzione americana relativa ai diritti umani (1969), la Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981), i Patti internazionali relative ai diritti dell’uomo (1966), la Convenzione delle Nazioni Unite relative ai diritti del fanciullo (1989).

La codifica del Diritto Internazionale Umanitario è avvenuta grazieall’opera della Croce Rossa da metà Ottocento, con una serie di trattati internazionali vincolanti per gli Stati.

La codificazione dei Diritti Umani, iniziata solo dopo la II Guerra Mondiale, è invece composta da numerosi strumenti normativi, sia nazionali che internazionali, non tutti però a carattere vincolante.

Alcuni norme dei Diritti Umani, come la libertà di movimento o di associazione, possono essere limitate in caso di emergenze o gravi pericoli pubblici.

Esiste tuttavia un “nocciolo duro” di diritti inderogabili, considerato il punto di incontro tra il DIU e i Diritti umani.

Questo “nocciolo duro” sono il diritto alla vita, la proibizione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti, della schiavitù e dell’assoggettamento a servitù, oltre che del principio di legalità e di non retroattività della legge.

In ogni circostanza, anche incaso di conflitti armati o disordini interni, gli Stati sono tenuti a rispettare e garantire questi diritti fondamentali.

 

7 - La protezione dell'ambiente nei conflitti armati

L'ambiente è spesso la vittima silenziosa di ogni conflitto. La distruzione dell'ambiente naturale causa ripercussioni enormi sulle popolazioni interessate dal conflitto nonché sull'intero ecosistema della regione, con effetti che si protraggono spesso per decenni dopo la fine della guerra. 

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I conflitti armati causano gravi danni ambientali, incidendo sul benessere, sulla salute e sulla sopravvivenza della popolazione colpita, con effetti che perdurano anche decenni dopo la fine della guerra.


Oltre agli attacchi diretti all'ambiente, spesso anche i danni indiretti o accidentali sono molto gravi, causando la contaminazione di acqua, suolo e terra e il rilascio di sostanze inquinanti nell'aria. I residui bellici inoltre danneggiano la flora e la fauna e compromettono la biodiversità.

Nel 1994 il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha pubblicato le prime Linee guida sulla protezione dell'ambiente in tempi di conflitto armato, aggiornate nel 2020.

Il Diritto Internazionale Umanitario prevede in particolare quattro regole specifiche per la protezione dell’ambiente naturale, e alcune più generali, ovvero applicabili anche ad altri ambiti.

Metodi e mezzi di guerra devono essere impiegati nel rispetto della protezione e della conservazione dell'ambiente naturale (regola 1).

Prima di un attacco, occorre adottare tutte le precauzioni possibili per evitare, o almeno ridurre al minimo, eventuali danni accidentali alla natura.

Sono vietati i metodi o mezzi di guerra volti a causare danni gravi, estesi e a lungo termine all'ambiente naturale (regola 2). Questa regola vale anche qualora i danni, pur non essendo intenzionali, sono comunque prevedibili. Affinché si riscontri una violazione di tale norma, le tre condizioni (essere estesi, gravi e a lungo termine) devono essere tutte e tre soddisfatte.

La distruzione dell'ambiente naturale non può inoltre essere usata come arma (regola 3), intesa come tattica o metodo di guerra che si sceglie di utilizzare per colpire il nemico.

Sono proibite le tecniche di modifica dell’ambiente (regola 3), in particolare per gli Stati che hanno firmato la Convenzione ENMOB, il trattato internazionale che proibisce l'uso militare e ogni altro utilizzo ostile di tali tecniche.

La modificazione ambientale avviene quando sono impiegate tecniche che, attraverso la manipolazione di determinati processi naturali, alternano la dinamica, la composizione o la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno. Un esempio è l’utilizzo volontario di erbicidi per sconvolgere l'equilibrio ecologico di una regione dove è in corso un conflitto.

Infine, sono proibiti gli attacchi a titolo di rappresaglia contro l’ambiente naturale oppure contro beni e oggetti protetti dalle Convenzioni di Ginevra e dell'Aia e che fanno parte dell'ambiente naturale (regola 4).

8 - Il ristabilimento dei legami familiari

Migliaia di famiglie vengono separate ogni anno a causa di conflitti, calamità, migrazioni e altre gravi emergenze umanitarie. Di troppe persone, ancora oggi, si perdono totalmente le tracce.
Da oltre 150 anni noi di Croce Rossa supportiamo le famiglie in cerca di notizie dei propri cari, con l'obiettivo di ristabilire i legami familiari interrotti e facilitare il ricongiungimento.
 
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Fin dalle sue origini, la Croce Rossa aiuta i prigionieri di guerra e i militari feriti a ristabilire i legami familiari andati perduti. A tal fine, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) dispone di un organismo dedicato, l’Agenzia Centrale delle Ricerche.

Dal 1945 l’Agenzia si occupa anche di altre categorie di persone, come civili non prigionieri, migranti, vittime di conflitti armati e disordini interni, nonché coloro colpiti da calamità naturali.

Il lavoro della Croce Rossa per il ripristino dei legami familiari inizia durante guerra franco-prussiana del 1870. Successivamente, durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, milioni di messaggi vennero scambiati tra i prigionieri di guerra, e i militari feriti, con le proprie famiglie.

Ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, infatti, i prigionieri di guerra hanno il diritto di inviare alla propria famiglia e all’Agenzia Centrale delle Ricerche una cartolina che le informi della propria detenzione, dello stato di salute e della propria ubicazione.

I singoli Stati belligeranti devono inoltre informarsi reciprocamente riguardo la cattura di prigionieri di guerra, scambiandosi gli elenchi dei militari detenuti da ciascuna delle Parti.

L’Agenzia Centrale delle Ricerche ha cambiato nome più volte. Nel 1870 si chiamava “Agenzia di Basilea”, successivamente "Agenzia internazionale dei prigionieri di guerra" (I Guerra Mondiale) e infine "Agenzia centrale per i prigionieri di guerra" (II Guerra Mondiale).

Nel 1960 prese il nome attuale, un cambiamento volto a indicare che l'organizzazione aveva ampliato il proprio raggio d’azione e non lavorava più solamente per i prigionieri di guerra. Inoltre, il precedente nome non corrispondeva più alle reali attività intraprese dal CICR durante la Guerra Fredda.

Gli archivi del CICR contengono milioni di nomi di prigionieri e civili catturati nel corso di oltre un secolo di conflitti. Per questo motivo sono tuttora consultati da coloro in cerca di risposte riguardo la sorte dei propri cari, sia militari che civili.

Per la ricerca di coloro dispersi durante conflitti, migrazioni, calamità o altre gravi emergenze umanitarie in corso, è attivo il programma mondiale Restoring Family Links (RFL), a cui collabora ogni Società Nazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.

In Italia la Croce Rossa riceve ogni anno migliaia di richieste di aiuto da parte di persone in cerca dei propri cari. Grazie al programma RFL, i volontari CRI si attivano e collaborano con i colleghi di tutto il mondo per cercare le persone scomparse e, una volta trovate, ristabilire i contatti con le famiglie e favorirne il ricongiungimento.

9 - La minaccia delle armi nucleari

La Croce Rossa si impegna per spingere sempre più Stati a mettere al bando le armi nucleari, per garantire la sicurezza della popolazione mondiale ed evitare ad ogni costo l'incalcolabile sofferenza umana derivante da un qualsiasi uso di armi nucleari.

Il 26 settembre 2019, in occasione della Giornata internazionale per la proibizione delle armi nucleari, la Croce Rossa Italiana ha lanciato la campagna “Nuclear Experience – Croce Rossa Italiana per il Disarmo Nucleare” affinché l’Italia aderisca al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari.

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Fin dall’immediato dopoguerra, il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa ha svolto un’azione di sensibilizzazione e advocacy volto alla proibizione e all'eliminazione delle armi nucleari.

Tutte le norme del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) si applicano pienamente alle armi nucleari, in particolare i principi di distinzione, proporzionalità e precauzione, nonché il divieto di causare lesioni superflue o sofferenze inutili alle persone, e il divieto di causare danni diffusi, gravi e a lungo termine all'ambiente.

Gli ordigni nucleari sono armi di distruzione di massa, ovvero in grado di ferire, uccidere e distruggere su vasta scala. Con il loro impiego sarebbe impossibile fare la distinzione tra civili e combattenti, nonché fra beni civili e obiettivi militari (principio di distinzione). Inoltre, le perdite umane sarebbero in ogni caso di gran lunga superiori ai vantaggi militari ottenuti (principio di proporzionalità). Ai sensi del DIU, quindi, l’attacco non avrebbe in nessun caso una giustificazione valida.

Gli effetti di un attacco nucleare si protrarrebbero ben oltre la fine del conflitto. Le radiazioni colpirebbero popolazioni e risorse naturali su un'area molto estesa e costituirebbero una minaccia reale per le generazioni future, con effetti sui tassi di mortalità, soprattutto infantile, sul clima globale e sulla sicurezza alimentare.

Qualsiasi utilizzo di armi nucleari, intenzionale o accidentale, creerebbe inevitabili ed enormi conseguenze umanitarie.

Nel caso di un'esplosione di un'arma nucleare in un'area popolata, nessuno Stato, organismo internazionale o organizzazione umanitaria, sarebbe in grado affrontare l'emergenza in modo appropriato, sia nell’immediato per i soccorsi e l’assistenza alle persone colpite, sia nel lungo periodo per garantire la ricostruzione e il risanamento materiale e ambientale.

Il primo importante strumento normativo contro le armi nucleari è il “Trattato di non Proliferazione Nucleare” (TNP) del 1968, ratificato da 190 Paesi, che prevede tre principi cardine: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Il TNP ha rappresentato una solida base per l’eliminazione totale delle armi nucleari. Tra le misure previste c’è l’impegno degli Stati a non utilizzare mai per primi ordigni atomici e moltre altre misure precauzionali..

Nel 2017 è stato poi approvato il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), il primo strumento che rende illegali l’uso, la minaccia, il possesso e lo stazionamento delle armi nucleari. A settembre 2022, conta 68 Stati parte e 91 Stati firmatari.

Il Trattato riconosce al Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa un ruolo rilevante in materia di cooperazione e assistenza internazionale, oltre che nella conferenza degli Stati parte.

10 - Gli attacchi informatici nei conflitti moderni

Nei conflitti moderni l'uso di attacchi informatici per colpire l'avversario è ormai realtà. Anche le operazioni condotte online possono però avere serie conseguenze fisiche per la popolazione civile.

Il Diritto Internazionale Umanitario si amplica anche negli scenari di #cyberwar, anche se molti temi sono ancora dibattuti. 

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 I conflitti armati moderni vedono un impiego sempre più massiccio di attacchi informatici diretti contro installazioni militari, sistemi governativi e finanziari, industrie e apparati di telecomunicazioni. Questi sono solo alcuni dei "bersagli" nel mondo reale colpiti per danneggiare il nemico.

Le operazioni cibernetiche possono interrompere la fornitura di servizi essenziali e avere serie ripercussioni sulla popolazione civile, come nel caso di attacchi informatici a strutture sanitarie. Valutare il danno civile incidentale previsto per qualsiasi operazione cibernetica è fondamentale per garantire che la popolazione civile sia protetta dai suoi effetti.

Il Diritto Internazionale Umanitario (DIU) limita i mezzi e i metodi di guerra utilizzabili, qualunque essi siano. Si applica quindi anche agli scenari moderni di cyberwar

Nel lanciare un cyber attacco occorre quindi distinguere tra obiettivi militari e civili, colpendo solo infrastrutture specifiche, senza danneggiare indistintamente sia installazioni informatiche militari che civili, come potrebbe accadere, ad esempio, con l’impiego di virus autoreplicanti. L’interconnessione dei sistemi, tuttavia, fa sì che anche attacchi mirati possano avere effetti collaterali indiscriminati su altre reti e infrastrutture. 

È inoltre vietato manomettere, distruggere o rendere inutilizzabili strutture o servizi informatici indispensabili alla sopravvivenza della popolazione

Gli attori umanitari vanno sempre protetti e tutelati e non si possono colpire i computer e l’infrastruttura informatica dei servizi sanitari.

Le applicazioni militari poggiano spesso su infrastrutture civili (cavi in fibra, router ecc), mentre i veicoli civili, il trasporto marittimo e il controllo del traffico aereo fanno affidamento su sistemi di navigazione satellitare utilizzati anche dai militari.

L’interconnessione tra reti civili e militari può causare, in caso di attacco a una installazione militare, serie ripercussioni sui civili. Per proteggere la popolazione occorre quindi separare le infrastrutture cibernetiche militari e civili, isolare i sistemi dai quali dipendono servizi sensibili e lavorare sull'identificazione nel cyberspazio dell'infrastruttura informatica di strutture sensibili come gli ospedali.

Sono sicuramente considerabili “attacchi” ai sensi del DIU le  operazioni informatiche che causano morte, lesioni o danni fisici dovuti a effetti prevedibili diretti e indiretti, come accadrebbe ad esempio se venisse disabilitata la fornitura elettrica di un ospedale.

La Croce Rossa ritiene che, in un conflitto, qualunque operazione volta a disabilitare un computer o una rete è da considerarsi attacco. Tuttavia c’è dibattito riguardo le operazioni informatiche che non causano danni fisici, secondo alcuni non considerabili attacchi ai sensi del DIU. 

Gli Stati sono responsabili di eventuali violazioni del DIU anche in caso di operazioni informatiche condotte da persone o società private ma abilitate a esercitare elementi di autorità di governo, oppure da gruppi hacker che agiscono su istruzione, direzione o controllo dello Stato.

I dati civili essenziali, come i dati medici, biometrici, i dati sulla sicurezza, i documenti fiscali, i conti bancari, i file dei clienti delle società o gli elenchi e i registri elettorali, sono una componente vitale della civiltà moderna essendo fondamentali per il funzionamento della maggior parte degli aspetti della vita civile, sia a livello individuale che sociale.

Dato che il DIU protegge i civili ma anche i loro beni, è ancora una questione dibattuta se considerare i dati informatici al pari dei beni civili, e quindi se accordare loro lo stesso tipo di protezione dagli attacchi.

11 - Le violenze contro le donne nei conflitti armati

Le donne nei conflitti armati sono esposte ad abusi, violenze e crimini di ogni tipo. Il Diritto Internazionale Umanitario prevede norme specifiche per la tutela della donna e obblighi per le Parti in conflitto, ma nonostante questo i loro bisogni sono spesso ignorati.
Solo in tempi recenti, l’aumento della copertura mediatica di molti conflitti moderniha portato alla luce quanto fenomeni drammatici, come gli stupri di guerra, siano così ampiamente diffusi. 

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Nei conflitti armati la violenza colpisce tutti indistintamente, ma in modi e con risvolti diversi a seconda che sia perpetrata contro bambini, anziani, uomini o donne. I diritti e le necessità delle donne nei conflitti armati sono spesso trascurati, con conseguenze drammatiche.

Nonostante la protezione del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) sia indipendente dal genere, alcune norme prevedono una attenzione maggiore per le donne, nelle esigenze della loro salute e per il ruolo importante che hanno nella famiglia, specialmente in qualità di madri.

Le donne nei conflitti armati sono particolarmente esposte a stupri e abusi, nonostante il DIU obblighi le Parti in conflitto a proteggerle da atti di violenza sessuale (I Protocollo Aggiuntivo). Lo stupro può essere considerato un vero e proprio metodo di guerra quando è usato dai combattenti per umiliare, torturare, ferire o punire. Con la violenza sessuale si distrugge il tessuto sociale e la sola minaccia di stupro può portare intere comunità a fuggire. 

Nei contesti socio-culturali dove l'integrità della famiglia è legato alla “purezza” delle donne, ad esempio, lo stupro può essere usato come tattica deliberata per destabilizzare l'intera comunità.

Lo stupro ha gravi conseguenze sul piano psicologico, affettivo, sociale ed economico, oltre alle inevitabili ricadute sulla salute e all’alto rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili.

In alcune comunità le vittime di violenza sessuale sono ritenute un “disonore” per la famiglia e per questo abbandonate o stigmatizzate.
Nei casi di gravidanze indesiderate, i bambini vengono spesso rifiutati dalle madri. I figli di stupri di guerra possono essere a loro volta maltrattati, abusati e messi ai margini dalla propria comunità. Le vittime di stupro sono spesso “nascoste” e il lavoro degli operatori umanitari per fornire loro le cure necessarie è difficile e pericoloso.

Il reclutamento forzato, pratica vietata dal DIU, è spesso usato per terrorizzare i civili. In molti conflitti armati le donne sono obbligate a unirsi ai gruppi armati e arruolate contro la loro volontà, anche se non sempre è previsto per loro un impiego diretto sul campo.

Molte donne rapite diventano le schiave sessuali dei combattenti nemici oppure vengono obbligate a cucinare, pulire, o costrette a varie forme di lavoro forzato. Alle donne rapite e obbligate a combattere viene spesso chiesto di commettere assassinii e crimini mostruosi, anche contro la loro famiglia d’origine. In questo modo si vedono distrutti i loro legami sociali e la possibilità di una futura reintegrazione nella comunità.

A causa della violenza psicologica subita, alcune sviluppano infine forme di dipendenza dal gruppo armato che le ha rapite.

12 - I conflitti interni

Non tutti i conflitti armati sono internazionali, che coinvolgono cioè attori appartenenti a stati differenti. Molti conflitti nascono e si sviluppano all'interno di un singolo Stato.

Nonostante le norme che regolano le ostilità in questo caso sono più generiche rispetto ai conflitti internazionali, ci sono alcuni punti fermi che ogni Parte deve rispettare.

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Molti conflitti attuali molti avvengono internamente agli Stati. In questo caso si parla di un conflitto armato non internazionale, o interno. Il termine guerra civile, benché sia un sinonimo spesso usato, non ha un vero e proprio significato giuridico.

I conflitti non internazionali sono caratterizzati da situazioni di violenza prolungata con scontri tra forze governative e uno o più gruppi armati organizzati, detti anche non statali. Il Diritto Internazionale Umanitario (DIU), anche se maggiormente articolato sui conflitti internazionali, riserva norme specifiche per i conflitti interni. 

L'articolo 3 Comune alle quattro Convenzioni di Ginevra protegge tutti coloro che non prendono parte o che non possono più prendere parte alle ostilità. È considerato una sorta di trattato in miniatura perchè le norme che vi sono racchiuse sono più generiche e meno dettagliate di quelle relative ai conflitti armati internazionali.

Tra le regole che le Parti in conflitto devono rispettare vi è il divieto di colpire la popolazione civile, il divieto di attacchi indiscriminati, l'obbligo di rispettare il principio di Proporzionalità. 

Chi non prende, o non prende più, parte alle ostilità deve essere trattato con umanità, senza distinzioni. Tutti i belligeranti, indipendentemente dal loro status, devono astenersi dal praticare violenze contro la vita e l’integrità corporale, oltraggi alla dignità personale, trattamenti umilianti e degradanti, mutilazioni e torture. 

Nel caso in cui, per entità o caratteristiche, la situazione di violenza in atto non assuma le caratteristiche di un conflitto armato, si applicano le leggi dello Stato e le norme sui Diritti Umani. Il DIU, infatti, si applica solo nei conflitti armati.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, CICR, può intervenire come mediatore imparziale tra le Parti in conflitto, oltre all'azione umanitaria della Società di Croce Rossa o Mezzaluna Rossa del Paese in cui avvengono gli scontri. 

13 - I crimini internazionali

Qual è la differenza tra crimini di guerra e crimini contro l'umanità? Quando si può parlare di genocidio? Possono sembrare spesso sinonimi ma nella pratica ognuno di essi ha delle peculiarità, pur condividendo spesso elementi in comune.

Testi a cura degli studenti della I “International human rights and humanitarian law advocacy clinic” (AdvoC) dell’Università degli Studi di Milano.

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I crimini internazionali sono violazioni delle norme internazionali dalle quali discende la responsabilità penale dei loro autori individuali, quindi non dello Stato in nome o per conto del quale questi ultimi hanno agito.

Si ritiene generalmente che la lista dei crimini internazionali includa i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il crimine di genocidio e il crimine di aggressione. Questi sono definiti anche dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI).

La CPI è competente a giudicare sui crimini di guerra, specie se sono parte di un piano, di un disegno politico o di altri crimini analoghi commessi su larga scala. I crimini di guerra sono violazioni gravi del diritto internazionale umanitario commesse nell’ambito di conflitti armati sia internazionali che interni. Lo Statuto di Roma individua più di cinquanta crimini di guerra, tra cui figurano l’omicidio volontario, la tortura e le gravi lesioni all’integrità fisica e alla salute.

I crimini contro l’umanità sono invece atti commessi nell’ambito di un attacco esteso o sistematico contro la popolazione civile, riconducibile a un disegno politico di uno Stato o di una organizzazione, ma non per forza nel corso di un conflitto armato. Sono crimini contro l’umanità l’omicidio, la riduzione in schiavitù, la deportazione, lo sterminio e il trasferimento forzato.

Quanto al crimine di genocidio, si caratterizza per due elementi costitutivi. Il primo è l’intento di distruggere un determinato gruppo di persone, in tutto o in parte, per via della loro nazionalità, etnia, razza o religione.
Il secondo consiste nel commettere almeno uno dei seguenti crimini nei confronti dei membri del gruppo preso di mira: omicidio, lesioni fisiche o psichicologiche, imposizione di condizioni di vita volte a distruggere il gruppo di appartenenza, trasferimento forzato di bambini a un gruppo diverso e controllo delle nascite. Come per i crimini contro l’umanità, anche il genocidio può essere commesso in tempo di pace.

Lo Statuto della Corte Penale Internazionale definisce, infine, il crimine di aggressione come la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite. L’autore di tale crimine dev’essere quindi una persona in grado di controllare o dirigere effettivamente l’azione politica o militare di uno Stato. L’atto di aggressione è anche definito come l’uso illecito della forza armata da parte di uno Stato contro un altro Stato, ad esempio, mediante il bombardamento o l’invasione del suo territorio.

Credits
Progetto grafico: Iman Kamali
Revisione scientifica: Barbara di Castri
Coordinamento redazionale, testi e impaginazione: Daniele Aloisi
Info: comunicazione@crimilano.it

La mostra divulgativa sul DIU

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La campagna “Il DIU... in pillole!” si declina in una mostra per incontrare il pubblico offline. “Anche le guerre hanno delle regole” ha lo scopo di sensibilizzare studenti, istituzioni e cittadini sull’importanza del rispetto della dignità umana in qualunque contesto, anche nei conflitti armati.
Pannello dopo pannello, vengono approfonditi temi specifici quali la protezione dei civili e dei beni culturali, il trattamento dei prigionieri di guerra e la funzione protettrice dell’emblema della Croce Rossa. La mostra è composta da dodici pannelli raffiguranti foto scattate nei numerosi teatri di guerra in cui opera il Comitato Internazionale della Croce Rossa, corredate da testi di approfondimento.

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