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Lunedì, 19 Dicembre 2022 10:17

La difficile realtà dei giovani senza dimora e l'intervento psicologico

La prima immagine che viene in mente quando si pensa a una persona senza dimora, è quella di un uomo di mezza età avvolto in coperte e cartoni. La figura classica e spesso stereotipata del clochard è da sempre quella preponderante nell’immaginario della società. Tuttavia, si tende troppo spesso a ignorare che una gran fetta delle persone che vivono in strada sono giovani tra i 18 e i 34 anni. Si stima che la percentuale degli under 35 in strada sia di oltre il 25%, secondo gli ultimi dati Istat a disposizione relativi al fenomeno.

Il motivo per cui spesso non ci si rende conto di tale importante presenza di giovani per le strade, risiede probabilmente nelle caratteristiche stesse dei giovani adulti senza dimora, una realtà complessa con cui è spesso molto difficile relazionarsi e che quindi rischia spesso di essere trascurata e poco considerata dalle istituzioni nella sua specificità.

La Croce Rossa di Milano si occupa dell'assistenza delle persone in strada da oltre 20 anni. Oltre l’unità di strada di base, che rispondono ai bisogni primari delle persone e provvedono alla distribuzione di generi di conforto, la CRI Milano ha avviato da alcuni anni tre unità di strada specialistiche: medica, educativa e psicologica.

Insieme a Federico Lupo Trevisan, psicologo psicoterapeuta e referente dell’Unità di strada psicologica della CRI Milano, cerchiamo di approfondire il tema, poco conosciuto, dei giovani in strada.

Il lavoro psicologico con gli assistiti è spesso la base di partenza per la risoluzione di alcuni problemi legati alla vita in strada, e rappresenta in alcuni casi uno step fondamentale per la successiva “uscita” dalla condizione di fragilità. E nel caso di giovani senza dimora, l’intervento sul piano psicologico diviene particolarmente complesso e presenta peculiarità importanti.

Quello che segue è un piccolo estratto e riadattamento del capitolo 6 "La vita fuori: i giovani senza dimora", di Federico Lupo Trevisan, del libro “Giovani Adulti – nuovi modi di essere e apparire”, a cura di Elena Rosci, edito da Franco Angeli per la collana “Adolescenza, Educazione e Affetti”. 

 

Identikit del giovane senza dimora

uds psic 1Gli adulti che si ritrovano a dover vivere in strada ci giungono dopo aver vissuto tappe evolutive e di vita articolate: sono persone che hanno lavorato, o che si sono sposate o che hanno avuto figli e che, in seguito, hanno perso il lavoro, o hanno avuto una storia di dipendenza da alcol o dal gioco, divorzi complessi, o trascorsi con la giustizia, persone spesso senza più alcuna possibilità finanziaria. Avvenimenti esterni che, uniti a fragilità interne di lunga data, hanno portato queste persone a un vicolo cieco. I giovani al contrario non hanno ancora raggiunto in modo completo nessuna delle tappe caratteristiche degli adulti. Il giovane adulto è una persona che sta ancora seguendo un romanzo di formazione: le cause del trauma sono quindi assolutamente diverse.

I fattori scatenanti sono raggruppabili in alcune macro aree. In primis, i problemi con la famiglia di origine, in particolare relativi a povertà, degrado sociale, violenze, trascuratezza, abbandono, mancato supporto educativo ed emotivo ma anche discriminazioni basate sull’orientamento affettivo. Seguono poi l’abuso di sostanze, la detenzione in giovanissima età, disturbi psichiatrici spesso non diagnosticati, problemi di apprendimento. In ultimo, nel caso delle ragazze giovani, avere vissuto esperienze di gravidanza indesiderata: una su dieci delle donne senza dimora ha sperimentato questo avvenimento.

La condizione di giovani senza dimora rappresenta una situazione di seria gravità. Questi giovani infatti non hanno portato a termine i compiti evolutivi richiesti per diventare adulti. Nello specifico la separazione dalla famiglia di origine, che normalmente fa parte delle necessarie tappe evolutive di ogni individuo, in questo caso non appare come individualizzazione, quanto piuttosto come una grave rottura, di cui spesso non si riesce nemmeno a parlare.

La situazione italiana e i differenti casi

In Italia, dove l’età di arrivo in strada è più alta rispetto agli altri paesi europei, possiamo individuare tre percorsi o gruppi principali (generici, ma a loro volta ricchi di diramazioni) che portano un giovane adulto a divenire senza dimora.

Il primo gruppo è composto da giovani espulsi dal nucleo familiare naturale o di adozione. Nel primo caso spesso le famiglie presentano già difficoltà sociali, economiche e psicologiche dei loro componenti. La conflittualità estrema, l’intervento dei servizi sociali, la possibile detenzione dei genitori e le difficoltà economiche fanno sì che il figlio, al compimento del diciottesimo anno, decida di lasciare l’abitazione o venga cacciato, perdendo quindi i contatti con la famiglia. La seconda sottocategoria comprende famiglie con figli adottati che, nel corso della loro infanzia, ma soprattutto dell’adolescenza, presentano grandi problematiche. In entrambi i casi si rileva un fallimento della rete sociale, con famiglie che non hanno ricevuto adeguato supporto, o dinamiche importanti e non sanate relative al tema dell’identità dell’individuo, a cui manca un legame di appartenenza.

Il secondo gruppo comprende i migranti cosiddetti “ex MSNA” (ex Minori Stranieri non accompagnati). Una volta diventati maggiorenni, questi giovani escono dai centri di accoglienza ma non sono in grado di gestire la propria vita da un punto di vista interno (solitudine psicologica) e pragmatico (affittare una casa, trovare un lavoro). Manca loro una rete affettiva e la possibilità di riconoscere se stessi.

Il terzo gruppo, infine, sono i giovani coinvolti nel mondo delle sostanze e delle dipendenze. Gli appartenenti a questa categoria possono però far parte anche di uno dei due gruppi precedentemente menzionati. Questi giovani sono più refrattari e poco stanziali, ma con una peculiarità: tendono infatti a non dormire da soli in strada quanto piuttosto a organizzarsi in gruppi all’interno di immobili abbandonati, civili o industriali.

Socialità e relazioni affettive tra i giovani senza dimora

Il tipo di amicizia e di socialità tra i giovani senza dimora verte difficilmente su interessi e progetti futuri quanto piuttosto su bisogni contingenti o centrati su un “oggetto” (sostanza, ricerca di luoghi dove dormire e “tirar su” soldi).

Anche l’aspetto amoroso è vissuto in modo non maturo dai giovani senza dimora. La relazione d’amore non è all’insegna di uno scambio ma il partner è visto più come un sostegno, anche piuttosto pragmatico, alla sopravvivenza. Il lavoro con le giovani coppie senza dimora è molto difficile, in quanto si autoalimentano nella loro sofferenza psicologica. La simbiosi di coppia che caratterizza l’amore dei giovani senza dimora, pur essendo un buon antidoto contro la solitudine, si rivela di fatto deleteria.

Il lavoro psicologico con i giovani senza dimora

udspxRispetto alla consultazione con i giovani adulti, gli obiettivi e il lavoro su campo con i giovani senza dimora riguardano vari temi.

Molti degli interventi si basano sul ripristino della socialità poiché non sanno più (o non hanno mai appreso) le basi dello stare insieme e della gestione dei conflitti. Nei giovani senza dimora vi è anche una maggiore fatica a riconoscere la propria situazione. Se questo è un bene perché evita il rischio della cronicizzazione identitaria con la homelessness, manca tuttavia la consapevolezza di quanto stia accadendo. Inoltre, questi giovani, che spesso hanno un passato di esperienze di abusi fisici, sessuali, emotivi ed economici, non hanno fiducia nelle istituzioni e sentono di non poter ricevere aiuto.

La consultazione con i giovani senza dimora è complessa e delicata. Anzitutto si cerca di offrire un contributo allo sviluppo di rappresentazioni più definite e un aumento dell’autoconsapevolezza, un tema da trattare con delicatezza e a piccoli passi. In seguito, si aiuta la persona ad orientare il proprio sguardo verso altri oggetti, allontanandosi così dal ripiego narcisistico e autodistruttivo.

Impostata la prima parte, si riprende il tema dei compiti evolutivi interrotti partendo da quelli più praticabili in quella situazione, non per forza quelli più urgenti, mettendo così al riparo psicologo e paziente da aspettative che diventano iatrogene quando non mantenute.

Anche la ricerca dei propri talenti è un obiettivo fondamentale della consultazione: abituati a una percezione di sé fallimentare, la ricerca del talento e delle competenze è una scoperta nuova e rigenerante.

Infine, valutata la tenuta dei primi punti, ci si addentra nella ricerca di un progetto personale o di tentativi decisionali che permettano una autorealizzazione e una percezione di sé come produttivi.

Attraverso la consultazione si nota la rinascita di desideri che verranno affrontati con attenzione insieme allo psicologo, con la consapevolezza che alcuni dovranno essere abbandonati, per poter crescere, a vantaggio di altri progetti concretamente perseguibili.

Quando possiamo dire che la terapia sta funzionando? Quando notiamo il passaggio alla soggettivazione, a una riflessione maggiore, al momento in cui il nostro paziente ci dice «avrei voluto lasciar perdere tutto ma poi ho aspettato a farlo» (colloquio con A.F., 26 anni).

L’obiettivo su cui tutti gli operatori concordano concerne la possibilità di rendere la vita in strada il più breve possibile: più tempo i giovani passano in strada, più rimangono bloccati in questa perturbante identità senza possibilità di fuga.

Il lavoro psicologico deve accompagnarsi con servizi di ospitalità che devono essere attivati immediatamente. In particolare, i giovani senza dimora vengono sedotti da un “bias” cognitivo ed emotivo: vivere in strada permette una maggiore libertà e liberazione (da una famiglia vissuta come impossibile, da un paese inospitale, da una condizione di sofferenza) senza comprendere che in verità è una nuova prigione a cielo aperto ed esposta alle intemperie, metaforiche e reali.

Infine, il percorso psicologico deve proseguire anche quando il giovane prende possesso di una casa, di un alloggio, o beneficia di un housing first. È proprio in quel frangente che il rischio di ricadute aumenta. Si tratta, l’intervento psicologico con il giovane adulto senza dimora, di un percorso a lungo termine.

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